Un tè con ognuna di esse con:
Paola Nazzaro, Autrice del libro Carezze Korazze &skizzi di vita. Edito da Progetto Cultura
Anna Rita Guaitoli, Giornalista, critica letteraria, studiosa del Segno Grafico
Pasqualina Cioria, Psicologa, Psicoterapeuta
Grazie alla lettura del libro, al
rincorrersi delle emozioni, 3 donne, 3 menti diverse si sono incontrate e
ritrovate davanti a un tè a chiacchierare del più e del meno. Per confrontarsi,
andando oltre le apparenze, oltre le Korazze. Donne che credono nella forza
creatrice delle mareggiate interiori.
PC - Osservando la copertina si capisce quanto sia
predominante il coraggio di Paola che osa, guarda oltre, non si ferma alle
apparenze. È così?
PN –
“Io voglio l’impossibile,
voglio sempre volare, io distruggo la vita ordinaria, corro incontro a tutti i
pericoli dell’Amore” (Anais Nin).
Dalla copertina del libro che ho creato in
un collage pieno di simboli, ho osato distendere una donna nuda scesa dalla sua
motocicletta di acciaio rilucente, che ha sganciato la sua corazza metallica,
lasciandosi infrangere dall’onda risanatrice fresca della vita. Una donna che
si concede il lusso di essere e basta che non ha più voglia di coprire le sue
nudità. Da qui nasce l’importanza di andare oltre le apparenze, l’importanza di
approfondire chi siamo realmente dietro la copertina patinata di un libro
o di un ruolo che rappresentiamo o da chi siamo protette da uno schermo
virtuale.
PC – Paola dice di aver trasformato il
dolore in vita, cosa che ripetutamente troviamo pagina dopo pagina e per fare
questo ha avuto il coraggio di lasciare le apparenze. Il coraggio è un po’ “soggettivo”,
ognuno lo vive a modo suo. Quando nasciamo, siamo provvisti delle emozioni e una di
queste è la paura che ha una funzione protettiva davanti al bisogno di compiere
passaggi evolutivi. Essa ci serve per organizzare il nostro mondo, la nostra
vita. In alcune circostanze la paura si trasforma in una sorta di paralisi,
avendo la percezione di vivere senza una via di uscita, cresce a tal punto da
diventare invasiva, limitando la nostra vita e facendoci indossare la “Korazza” di cui parli nel libro.
Quando, invece, pensiamo di saper controllare un momento, una situazione, per
quanto ci faccia paura, essa diminuisce, lasciando il posto alla razionalità
che si attiva per trovare una soluzione. Provare paura è del tutto normale e ci
pone dinanzi al considerare i rischi, è importante, però, che non superi una
certa soglia che non ci fa più vivere bene. Bisogna, quindi, imparare ad
affrontarla, fin da bambini, riconoscendo le sue svariate forme. Per
contrastarla viene in aiuto il coraggio, che altro non è che l’altra faccia
della paura. Un vecchio proverbio dice: “la
paura che viene guardata in faccia, diventa coraggio”. Contrariamente alla
paura, innata, il coraggio va sperimentato attraverso le nostre esperienze, è
uno stato mentale che non corrisponde minimamente all’assenza di paura ma alla
consapevolezza che esiste qualcosa di più importante di essa, il coraggio
corrisponde all’avere fiducia nelle proprie capacità. Non provare paura è da
imprudenti, ignari dei rischi che si corrono. Anche per vivere ed essere felici
ci vuole coraggio, quel coraggio di scegliere con la propria testa, di
abbandonare gli schemi, le convinzioni errate, di assumersi le proprie
responsabilità, di agire consapevolmente e di cambiare la propria vita per
vivere felici.
Non sarà facile ma nemmeno impossibile ma di sicuro ne
varrà la pena. Paola cosa ne pensi?
PN – Ci sono circostanze speciali nella vita in cui sai che una
decisione importante può competere solo a te stessa. Talvolta, quando si è completamente soli ad
effettuare una scelta che segnerà la nostra vita, non si tornerà più indietro,
ti tremano le gambe dalla paura dell’ignoto, la paura che può paralizzare le
tue azioni e hai quella percezione che stai per lasciare definitivamente
il mondo dei balocchi per indossare gli anfibi chiodati della vita ....
Personalmente ho avuto un modo solo per governare la paura, puntarle in faccia
la lampada fredda dell’interrogatorio spietato ma necessario della
realtà con me stessa, parlando per immagini cinematografiche,
tipo bere o affogare. Oltre ad un indubbio Dna che fa parte del mio
percorso formativo, il coraggio è un’attitudine, o che lo si ha come corredo
genetico o come esperienza acquista, come il coraggio che mi ha trasmesso mia
madre di andarsi a prendere ciò che si sente di appartenere, di andare incontro
alle proprie attitudini e ai sogni. Mia madre non si è mai opposta alle mie
stramberie di bambina o adolescente bizzarra precoce esistenzialista che
pattinava di notte in una provincia sonnacchiosa e rassicurante. Non volevo
rassicurare nessuno e nemmeno me stessa. Non ho mai desiderato ciò che
desideravano le altre bambine; il lieto fine nel il mio sogno proibito di
bambina era diventare una grande Scrittrice come Anais Nin, George Sand,
Wirginia Wholf, Colette e trascinavo i miei segreti in valige consumate. Quello
era il mio tesoro, la mia eredità, testimone la scrittura mia amante fedele
segreta non mi ha mai tradito, mai abbandonato ma per un’eccellente resa le
passioni vanno alimentate, esercitate con sacrificio, disciplina e tempo
sottratto al tempo. Si, la sola definizione del coraggio non è sufficiente
per rappresentare la forza necessaria per competere, ritagliarsi e costruire la
propria fetta di vita.
PC – Una sorta di viaggio interiore andando oltre le
apparenze della copertina alla ricerca di te stessa?
PN - Vi racconto passo per
passo la mia interpretazione alla copertina del mio libro:
1) La motocicletta d’acciaio,
(simbolo di conoscenza in bilico sul tracciato della vita) che dopo molti
kilometri di percorrenza pare voglia ristorarsi anch’essa nelle
turchine onde dalle soffici pennellate celesti.
2) L’impudica Venere (Alexandre Cabanel “La nascita di Venere”) dell’onda
è divenuta nel libro la mia Valchiria Metropolitana che indossa pezzi di
korazza d’acciaio, ginocchiere protezioni di metallo da Gladiatrice
contemporanea, indubbiamente una venere korazzata.
3) La korazza è slacciata sul un
fianco sinuoso di un biancore madreperlaceo antico è offerto
all’onda di piacere del mare. Le onde rappresentano i miei skizzi di
vita, attimi puri di felicità impalpabile e cristallina, forti come diamanti
come scogli indelebili, come muri di cinta per le mareggiate delle
nostre emozioni.
4) La korazza simbolica, necessaria per
essere al mondo, composta dalle cementate ferite attraversate, divenute
un sommerso iceberg di incomunicabilità e gelo necessario per proteggersi e
tutelare la nostra la purezza, la nostra sperdutezza ed impreparazione alla
vita, dove i “basilari fondamentali” sono stati acquisiti sul Ring della
vita.
5) Il Faro puntato sul manubrio,
simbolicamente, rappresenta la voglia di coscienza, di
introspezione; la luce come veicolo di individuazione di sé stesse. Una
luce forte, fastidiosa, da interrogatorio militare ma necessario per il
mio DNA, per la mia sete di luce e chiarezza ma soprattutto per affrontare il
nemico più feroce, il sabotatore più spietato e sotterraneo:noi
stesse.!
6) Il Korpetto in tessuto pregiato ed in
tinte pastello rappresenta il mio lavoro di costumista di creatrice di
sogni ricamati di libertà nel ricercare uno stile su misura che
evochi mondi culturali
interiori
7)
Sul fondo del collage della copertina del libro c’è un
frammento con una mano curata dallo smalto rosso lacca, ella sostiene
simbolicamente un busto di giovane donna, le cinge la vita per sostenerla e
darle coraggio prima di andare in scena, sul palcoscenico della vita di tutti i
giorni.
8) I petali di rose che fanno da cornice a
questa liberata femminilità palpabile rappresentano una conquista
un passaggio dalle tenebre, dai sotterranei di me stessa al sole del
meridiano sentire; dal nero delle mie tute di pelle, giubbotti
bicker indossati per anni, sotto i quali mi sono nascosta e
protetta. Il rosa rappresenta il consenso, la consapevolezza della
propria femminilità, armonia conquistata nella sfida vinta in Lady
Bourlesque, Sky1 nel Coraggio di portare in scena le mie eroine
interiori, le mie scrittrici artiste di mondi elegante& Retrò di
donne cosmopolite, viaggiatrici indomite ribelli alle convenzioni, icone
sorelle di carta, scrittura, pittura, danza che sono state l’ossatura
della mia formazione di ragazza e poi di donna artista che sono
diventata.
9) Lo specchietto retrovisore che appare
in alto, appuntito come un’ascia di metallo cromato, rappresenta lo specchio
dell’esperienza. Il guardarsi concettualmente le spalle, costantemente prima
che qualcuno possa fotterti il lavoro, un’idea o qualcosa di prezioso che
ti appartenga. Essere di guardia come una sentinella interiore. Lo specchietto
retrovisore è per me un simbolo di un’identità di donna non più infranta in
tanti specchi, ma
ricomposta.
10) Una marmitta cromata appuntita,
affilata come un pugnale o una penna stilografica, rappresenta per me il suono
del nostro motore interiore, del moto
perpetuo della nostra mente o il segno grafico della traccia del nostro
percorso, un livido inciso sulla nostra anima. Un pennino affilato
può essere anche un’arma potente contro le convenzioni contro il sistema
omologante.
PC – Calzante con l’intero libro e con la tua
personalità. Anna Rita a te ha colpito questa copertina? Cosa ne pensi?
ARG - Valchiria e strass rosa. Un bel contrasto, non c’è
che dire.
Il segno tormentato dei disegni, scuri nella
riproduzione, con molto nero negli originali ha valore espressionistico,
rivelando nell’immediatezza che dietro il ‘rombo’ non c’è pace. Estasi, forse. Cercata,
voluta, fino a stordirsi.
Eppure, nella scrittura scoppiettante di immagini
felici e di ricche improvvisazioni linguistiche, irrompe - diventandone
elemento portante - la razionalità, la volontà di sapere.
Non poteva che colpirmi un contrasto simile.
È indubbio che indichi un coraggio non comune. E il
coraggio ha bisogno di essere alimentato.
Dall’aggressività, per esempio.
Proprio all’inizio, proprio in una nota che dici “dell’autrice”,
riporti una frase di Colette che sottolineava, di una donna appartenente “all’epoca
delle sfrontate”, una “calligrafia aggressiva”.
Colette è stata un personaggio di rottura, senza
dubbio. E di coraggio ne ha avuto tanto. A proposito, questo è un esempio della
sua grafia.
Così piena di inchiostro, sostanzialmente morbida, con
aste che sembrano incurvarsi per accogliere, eppure con lanci decisi e lettere
che si fermano prima di proseguire verso l’altra lettera, verso l’altro.
Che ci sia energia, non c’è dubbio. Freudianamente si
potrebbe parlare di “libido”.
È aggressività? Quanto può essere stata di aiuto al “coraggio”?
Perché lei, Colette, che coraggio ha avuto e lo ha “sperimentato
attraverso le esperienze” come indicava Pasqualina, è riuscita anche a trovare
un punto di equilibrio tra le contraddizioni (non solo a livello grafico).
Anche tu, Paola, tante esperienze. Attraversate con
coraggio, se sei arrivata a questo. Ma è sufficiente dire “coraggio”? Quanto ti
è costato? Hai ancora l’aggressività
per continuare?
PN – Mi è costato tanto ma
non potevo sottrarmi alle mie responsabilità, sapevo di dover dare il via ai
lavori di restauro e alle impalcature, solidificare le fondamenta della mia
esistenza e non potevo continuare a vivere nella tempesta di ghiaccio interiore
nel quale mi ero ibernata e protetta.
Non nascondo che nel percorso dei fili di resistenza si sono
bruciati, li ho medicati, ed ho ripreso il cammino per nuove virate e nuove
sfide. Talvolta c’è qualche intermittenza, come con il carica batteria, allora
devo fermarmi e mettermi in carica. Ho ancora la grinta per nuovi
traguardi.
Sono stati necessari molti anni affinché avessi
il coraggio dell’esperienza e della consapevolezza nel tempo per denudare un
aspetto di scrittura lirica, occultata, appartenuta alla mia adolescenza,
chiusa, murata viva in cappelliere antiche coperte da strati di carte veline, misteriosi
cappelli velati e una collezione di stilografiche dall’inchiostro azzurro
pallido poi verde metallizzato di gusto retro’, quello insieme a tre valigie di
cuoio profumate di usura del tempo. Ho avuto la necessità di proteggere la mia
parte di poetessa lirica e decadente, costruendo fuori la mia solida korazza
per affrontare il mondo del lavoro e propormi invincibile, dotata di super
poteri come un Fumetto. Creando la mia alter Ego, attraverso la scrittura, sono
diventata una “Bambina d’acciaio” per affrontare quello che c’era li fuori, ma
nelle stanze segrete di me mi sono concessa il lusso del tempo di coltivare un
monologo ininterrotto con la mia parte nuda ad uno scrittoio interiore e
candeliere sgocciolate di ricordi. Il velo del pudore ha custodito per anni
questa sperdutezza di essere troppo
piccola per capire come funzionava il mondo, troppo grande per tirarmi indietro. Ho dovuto attrezzarmi
per venire al mondo, far sentire la mia voce e lasciare un segno. La palestra e
i riferimenti nei quali mi specchiavo sentendomi a mio agio con donne
scrittrici non convenzionali che hanno pagato il prezzo della loro avanguardia,
che osavano pronunciare guardando dritto negli occhi un uomo, come Jene Austen che con queste parole “vivrò della mia penna signore” liquidò il suo pretendente sposo o,
l’audace, precoce, Colette dalla scrittura appartenente all’epoca delle sfrontate.
Leggendo le loro parole, scolpite nella
mia mente adolescente che inseguiva il desiderio di indipendenza e libertà, non
avrei avuto necessità se non di un pennino e un foglio di carta nel mio diario.
Avrei viaggiato e osservato il mondo.
Ho avuto necessità di dare firma al
coraggio con tutte le mie forze per liberarmi dalle ombre che hanno affiancato
la mia vita. Arriva un momento che devi decidere se vuoi sentire di vivere
davvero o morire alla vita. Ho scelto di vivere e rispettare i miei
chiaroscuri.
PC – Riprendendo l’aggressività,
contrariamente a quel che si pensa, il non avere impulsi aggressivi o non
possedere il coraggio di esprimere la propria rabbia quando essa è motivata,
mette il soggetto nella condizione di divenire una vittima o di non essere
preso in considerazione. L’aggressività
è intrinseca all’essere umano, contraddistinta da svariati processi emotivi e cognitivi che causano
diversi tipi di condotta
aggressiva. Essa può avere un doppio effetto: tramutarsi in
violenza o in grinta. L’aggressività sana, creativa, consente di agire e di
affrontare le situazioni, è opportuna per la riuscita di sé e per difendere la
propria identità. È utile per difendersi ma anche per attaccare ove necessario.
Comunica all’altro che il suo comportamento non è benaccetto o che non si è
disposti a tollerarlo. In alcune circostanze l’aggressività è indispensabile per assicurarsi il rispetto,
per esprimere che determinati confini non devono essere superati. Senza
rendersi conto, si possono mettere in atto gesti aggressivi che celano rabbia. La rabbia è una emozione fondamentale e primitiva, è una risposta alla
frustrazione sia fisica sia psicologica che, a sua volta, nasce dal dolore, dal
non riuscito appagamento di un desiderio, da una impossibilità di procurarsi un
piacere, soprattutto associati all’immagine e alla realizzazione di sé.
Anna Rita, Paola cita le sue scrittrici di
riferimento. Sarebbe interessante capire cosa ci rivelano le loro scritture. Sono
presenti anche in esse elementi comuni con quanto appena detto da Paola?
ARG – A proposito dell’aggressività su cui mi interrogavo: guardiamo,
per il momento, la scrittura di Anaïs Nin, tante
volte ricordata da Paola.

Sembrerebbe il manifesto esemplare di una grafia “aggressiva”.
Indubbiamente, la forte colata di inchiostro viene esaltata dalla presenza,
continua e impositiva, di tanti angoli: si formano ovunque, agli apici delle
lettere, in basso. Già il rapporto tra questi due segni andrebbe a evidenziare una
carica di “aggressività” nel senso di energia che si rinnova. Sarà poi la buona
organizzazione dello spazio (tra parole, tra righe), sarà la forte tenuta del
rigo che si accompagna a una inclinazione degli assi inflessibilmente rivolta
verso destra, a dirci come l’“aggressività” sia stata ben utilizzata per il
raggiungimento dei suoi scopi. Del resto, era necessario avere tanta energia a
disposizione per portare avanti la rottura degli schemi che la ‘scandalosa’
Anais ha voluto. Una vita intensa, la sua, che è testimonianza di una volontà e
di un controllo di sé (graficamente leggibile nella accuratezza della forma) che
deve pur avere un prezzo: almeno nei rapporti. Di certo, quegli allunghi
uncinati nelle finali ci suggeriscono con immediatezza come deve aver
allontanato molti altri pur di portare avanti i suoi progetti. O forse, i suoi
sogni: non aveva detto, nel secondo diario, che i “i sogni sono necessari alla
vita”?
PC – Di questo parleremo al prossimo tè!