sabato 7 novembre 2015

Le donne che abitano in me. Capitolo 3

Un tè con ognuna di esse con:  

Paola Nazzaro, Autrice del libro Carezze Korazze &skizzi di vita. Edito da Progetto Cultura
Anna Rita Guaitoli, Giornalista, critica letteraria, studiosa del Segno Grafico
Pasqualina Cioria, Psicologa, Psicoterapeuta



Grazie alla lettura del libro, al rincorrersi delle emozioni, 3 donne, 3 menti diverse si sono incontrate e ritrovate davanti a un tè a chiacchierare del più e del meno. Per confrontarsi, andando oltre le apparenze, oltre le Korazze. Donne che credono nella forza creatrice delle mareggiate interiori.

NELL’OMBRA DEL DOLORE

(A. R. Guaitoli, Grafologa) - E quando il dolore è “troppo”, come diceva la Psicologa la volta scorsa, quando non trova compensazioni né via di uscita, può diventare deflagrante.
Sto pensando ancora alle “donne” che abitano in Paola. Mi ha sempre colpito constatare come certe ferite provochino un dolore che si manifesta nella scrittura con violenza. Così, infatti, si rivela nella scrittura di quella provocatrice che è stata Marguerite Duras: sempre oltre i limiti, con i suoi amori, le scelte politiche, l’autodistruzione con l’alcol.
In questo caso parlo di scrittura nel doppio senso. La scrittura come organizzazione del pensiero lascia intravedere nelle frasi brevi, spezzate, essenziali, piene di silenzi, la volontà di scrutare, di ascoltare le voci di sottofondo: perché tutto, ogni particolare, ritrovi senso.
La scrittura in quanto segno che rimane sulla carta subisce nel tempo diverse metamorfosi. Piccola, controllata, come quella dei diari scritti tra il 1943-1949. Poi, sempre più movimentata, diseguale, farà trapelare emozioni che sono vissute fino in fondo, talvolta in modo scomposto, così da attivare una vera angoscia. 

Certo, c’è la forza della traiettoria a dire la costanza del progetto; ma la scrittura dalle numerose irregolarità che oscilla, si schiaccia, cade, trema, urla la violenza di ferite profonde che possono attivare volontà distruttive.
 (P. Cioria, Psicologa) - Il dolore non deve essere visto come un nemico ma piuttosto come un maestro di vita. Il corso della vita è pieno di dolore, di perdite e separazioni. Il dolore e la sofferenza guidano l’uomo fin dal primo momento in cui viene al mondo e fino all’ultimo dei suoi giorni. Il piacere e il dolore sono esperienze primitive a cui  siamo esposti fin dalla nascita e lungo tutto l’arco della vita. Il dolore è una sensazione molto soggettiva, difatti, la soglia del dolore sia fisico che psicologico, è diversa in ognuno di noi. Chi lo percepisce più forte, chi meno. Se, per il dolore fisico, ci possono essere delle soluzioni che aiutano ad alleviarlo, per quanto riguarda il dolore psicologico, non esistono “pillole magiche”. Il dolore è la risposta psicologica che, in genere, si nota davanti a una perdita, è la reazione emotiva che affiora per non aver più qualcosa o qualcuno. Questa reazione non ha solo tratti emotivi, ma anche fisici e sociali.
Come dicevamo, il dolore è presente fin dalla nascita, se, infatti, pensiamo alle prime ore di vita di un bambino, possiamo vedere, come già questi siano traumatici. Da subito si iniziano a sperimentare sensazioni dolorose come la fame, la sete, il caldo, il freddo, crescendo, la dentizione ecc. Con il tempo aumentano la frustrazione e la sofferenza in diversi ambiti. Tuttavia, se il dolore e la sofferenza non superano una certa soglia, sono necessari alla crescita e allo sviluppo della persona, viceversa quando non si riesce più e gestirli.
Per quanto ognuno di noi si preoccupa di evitare o diminuire il dolore, purtroppo è una realtà esistenziale. Provare dolore è naturale, esso ha mille sfaccettature e ognuno ha i suoi dolori che vive a modo suo, ognuno ha le sue catastrofi. Qualunque sia la fonte del nostro dolore, dobbiamo essere consapevoli che per riprendersi dallo stesso occorre tempo. Per superare il dolore innanzitutto bisogna affrontarlo, non scappare, non bisogna negare a sé stessi e fingere che non lo stiamo provando, bisogna esprimere le proprie emozioni e i propri sentimenti. Può essere molto utile parlarne con qualcuno. Ed è di fondamentale importanza continuare a vivere la propria vita.
Ogni difficoltà è un’occasione di crescita per sé stessi. La vita ogni giorno ci pone ostacoli sul nostro cammino ma ricordiamo che anche la notte più buia lascerà spazio al nuovo giorno!
(A. R. Guaitoli, Grafologa) - C’è sempre un’ombra, dietro il dolore. Un’ombra cui spesso non si sa dare nome. Un’ombra che rischia di inghiottire.
Come nel tuo impressionante dipinto, Paola. Il giallo dello sfondo non ricorda più gioia o vitalità: nell’ambivalenza dei significati, qui, è il giallo citrino dello zolfo-veleno, il giallo freddo del tradimento.
A poco servono quei biglietti dei baci Perugina che vorrebbero forse ricordare speranze antiche. Ma tu che dici di te, Paola? Della tua ombra?


(Paola Nazzaro) - All’ombra del dolore prendono forma le mie impalpabili e sontuose ombre, che, non più dissolte nell’assenza, divengono muta presenza.
Sta a me decodificarle, dar loro un volto, un nome, un’appartenenza , sta a me ascoltare quanto vogliono dirmi.
Parlare razionalmente della propria ombra è un’impresa ardua, come imprigionare il fumo in una mano; posso farlo chiedendo il supporto di linguaggi, arti diverse, attraverso la forza del colore, del segno grafico o della traccia incisiva della scrittura.
Mi è sempre interessato interfacciarmi a qualsiasi forma artistica espressiva valida, se adoperata per esprimere le percezioni del mio magma interiore del mio anelito spirituale. Soltanto immergendomi nel silenzio oscuro posso portare alla luce quella parte inquieta di me stessa.
È necessario tutto il mio coraggio per percorrere la selva intricata delle emozioni, delle passioni e degli amori illusori, per fare conoscenza non solo, della mia ombra ma specchiarmi in quella di un altro, che ho scelto, davanti alla quale mi sento sedotta da qualcosa di irreparabilmente misterioso a cui istintivamente so appartenere.
La forza della mia immaginazione e della creazione si amplifica quando un’altra ombra sembra accogliermi nel suo mistero. Sento appartenere a qualcosa di tangibile da togliermi il respiro, una melanconia e al contempo una violenta lucidità di qualcosa che è perduto per sempre.
La violenza della lucida consapevolezza, del colore giallo citrino, del dipinto citato, porta la luce acida “dell’accettazione inaccettabile” e del già passato.
I bigliettini dei baci Perugina, sono come frammenti, testimoni silenziosi di dolcezze amare, di un amore non più rinnovato. Quei testimoni di scippi di un tempo non reversibile divengono sentinelle silenziose, accompagnandomi dal paese dei balocchi dell’innocenza, al mondo adulto, conservando nello sguardo lucido una purezza avvelenata. La forza della traccia grafica prende consapevolezza, le fiamme tremule del candeliere, seppur fioche, sono portatrici di luce, amplificano i contorni delle ombre nelle pareti di me stessa e la luce della coscienza prende forma.
Tuttavia, imparare a convivere con la mia ombra, è un esercizio di individuazione e conoscenza di me stessa, custodisce la chiave delle mie attitudini e può fornirmi l’audacia necessaria per abbassare il ponte levatoio del mio riservo, del mio pudore, per gli attacchi frontali con la vita.

(P. Cioria, Psicologa) - Il dolore è solo dolore, è simile a un’onda che va e viene, il grado di sollievo che proviamo dipende solo da come lo affrontiamo. Dobbiamo imparare a conviverci, accettandolo e vivendo la nostra vita in modo attivo. In genere, quando non siamo focalizzati solo ed esclusivamente nel dolore, quando gli diamo il giusto peso, sembra che esso faccia meno male. 


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