mercoledì 25 febbraio 2015

Recensione di Angelo Cannavacciuolo in occasione della presentazione del libro Carezze Korazze & Skizzi di vita di Paola Nazzaro presso "Al Blu di Prussia" il 29 Novembre 2013

Presentare Paola Nazzaro, costumista, disegnatrice, bozzettista, scrittrice di piccoli racconti e di poesie, - come appare proprio in questo libro - a mio parere significa rivederla attraverso la frazione e la rifrazione del suo percorso di donna prima, di artista poi, e di scrittrice infine. Un percorso che si fa storia. Qual è però, questa storia? La storia di Paola Nazzaro.

La biografia ci dice...

...

Ma rileggendo questo libro appare, tuttavia (non so con quanta chiarezza), che a dispetto di quanto una semplice sfogliata del libro potrebbe suggerire (con struttura, composizione di capitoli, che pur non esistono, per argomenti solo apparentemente messi al servizio di un contenitore illogico... un titolo, che non è un titolo, con una copertina che rimanda visioni paradisiache nei soggetti e nel colore, un'impaginazione frou-frou), che questa donna è in possesso di un'anima in tormento, tormento di un desiderio di accettazione, che si traduce, a mio avviso, in elaborazione di lutti quotidiani, che a loro volta diventano prua al largo verso le pericolose acque della scrittura. Ed è proprio in questo mare sovrastato dai marosi che Paola, forse, immerge la sua indole apparentemente esuberante, che mi pare rivelare tuttavia il segreto di quella assenza di strutture solide che l'accompagnano, la paura di un fallimento di un progetto, il bisogno di amicizia e l'orecchio sempre teso al dolore di chi le sta accanto.
Leggendo il libro di Nazzaro, in uno sguardo anche solo parziale, ci si rende conto come sia impossibile stabilire comunque una linea di demarcazione tra i tentativi di distaccarsi dalle passate esperienze e il fluire incalzante di nuovi orizzonti, seppure consapevoli di una conversione come spartiacque di divisioni tra vari mondi a lei cari e (s)conosciuti: quesiti antichi che dentro di lei si reiterano all'infinito, rischiarati solo da schegge come nella poesia d'apertura Macchina infernale ed immacolata. "Anima mia in veste d'uomo/anima identica baciata, foderata alla tua/..."

In questo libro dal titolo improponibile... Paola stabilisce una mappa organizzata di approdi a lei cari, dando corpo all'anima racchiusa inconfutabilmente nella stretta morsa del troppo espresso, e del poco inespresso. Un'anima che urla, si acquieta, ritorna a straziarsi, che gioca, che provoca e che decide infine di abbandonarsi alla speranza di una rinascita continua.

È struttura. questa, fatta di apparente illogicità che da la stura, impropriamente facile, alla (ri)produzione di capitoli, di disegni, di poesie prima e di mini racconti poi, espressioni di armonico disordine, che si anticipano, richiamandosi l'uno all'altro, e ci accompagnano attraverso un percorso doloroso fintamente rassicurante.
I segmenti, le linee parallele destinate a più che probabili convergenze, si (de)strutturalizzano come nel racconto I temi di Lara dove la Nazzaro lancia ponti protesi ad unire l'indivisibile di territori accidentati, là dove, spesso deraglia per sfinimento, la dove al lettore giungono scandagli di suoni e melodie, parole e contrappunti di una sola voce, quella del "io sento". E cos'altro è se non sentire la dolorosa presenza dell'assenza in L'esilio dell'amore: "scivolare lentamente/al rallentatore/Sono in ginocchio/..."

Sono piccoli ponti tesi a congiungere siderali distanze, meteore infuocate, a volta lanciate al pari di scie cristallizzate, i cui riflessi accecano, ma non troppo, e che permettono di vedere con occhi chiusi spalancati.

Il sentire della prima sezione quello delle poesie lascia il passo al pensiero che diventa osservazione di un paesaggio, ora non più interiorizzato, come nel segmento Kappuccetto biondo. Paesaggi interiori come nei dipinti di Kandinsky: macchie in continuo movimento, schegge di colore impazzite. In tutte le prove la Nazzaro effettua tentativi, i confini si fanno vicini, allo stesso tempo lontani, tangibili, circoscritti, consumati da una famelica avidità dei sensi. E allora scoppiano i colori in caleidoscopiche cascate, gemono le stagioni, stride il motore della moto, i cuoi e i korpetti si stringono alla vita e sussurrano i luoghi a lei cari (che poi sono anche i nostri, se in ognuno, al di là del reale, occhieggia palese l'appartenenza a una passione), come nel segmento Libretto d'istruzione: "Come se nel corpo il sistema nervoso fosse mixato alla centralina di un motorcycle system adventure ad accensione digitale".
Se nella prima parte del libro le poesie appaiono dilatazione di trascendenza, nella seconda parte i segmenti di racconti divengono desiderio e tensione, entrambe parti frammezzate da disegni la cui tensione verso l'assoluto si traduce in linee della voce dell'Eros. Nazzaro nei disegni usa qui gli occhi per vedere, il naso per odorare, la pelle per sentire, mentre i sensi si scaldano e la carne si accende.
In uno dei segmenti che trovo tra i più interessanti si dibatte, invece, tra i fumi evanescenti della memoria, ganglio vitale corroso dall'inasprimento/accanimento degli eventi, e si abbandona stordita quasi al battito sordo del suo clangore. E il ricordo si fa strazio, compassione per ciò che è stato e che mai più potrà essere, seppure aleggi la consapevolezza di una presenza costante nell'assenza. Ciò che la memoria restituisce e la solidità di forme rarefatte, contorni sfumati di immagini andate, come in un sogno o in una copia su carta carbone. Pensiamo alle parole di Mercato degli schiavi e sciarpa di vita: "Mi apposto su questo promontorio della paura non lontano dalla città. Spengo i fari della mia motard 995. Da qui su in cima nessuno potrà scorgermi..."
In questo racconto mi pare sia contenuto tutto lo stupore e l'apprensione di scoprire nuovi percorsi, mancanza di risolutezza intesa come esitazione timorosa, un'umbratile sospensione di parole e di pensieri; peritanza è pure la cifra morale che impronta di sé il comportamento, a metà tra enigmaticità e incantamento della ragazza incantata dallo slavo con gli anelli quadrati.

Durante il suo cammino, Paola Nazzaro sparge a piene mani quel seme, materia di conquista del suo peregrinare, che è appunto la speranza. Una speranza che diviene poi il frutto di continue rinascite.
Quello di questo libro - dal titolo improponibile (ma perché) - appare un percorso ardito e fuori dagli schemi... materiale disgiunto da un filo organico di pensiero, ma a pensarci bene mai controcorrente, un sommesso ma sincero atto di fiducia, attraverso le rigogliose selve della "maniera", nella funzione salvifica della poesia e in quella onirica dei racconti, a volte criptici, a volte pregni dei pudori di antiche tradizioni, tutti però avvolti, disegni e bozzetti compresi, nella tensione interpretativa della propria "melanconia".

Recensione di Elio Sena per il libro Carezze Korazze & Skizzi di Vita di Paola Nazzaro


Paola Nazzaro, dal burlesque alla scrittura